mercoledì 6 ottobre 2010

La resa del conto di Steve Dublanica

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C’è un vecchio adagio che recita: “quando il mangiare non è un penoso dovere né una indifferente necessità, fiorisce l’arte dell’incontro”. E le persone che si incontrano di più quando si mangia non per dovere, né per necessità, sono i camerieri. Un cameriere in particolare, Steve Dublanica, sostiene: “la gente dimentica che mangiare ha prima di tutto a che fare con la sopravvivenza”. E attorno a questo sottile sospetto di acredine verso l’avventore, ha costruito un libro molto divertente che si chiama La resa del conto.


Qui ci racconta la sua ventennale esperienza di capocameriere in un ristorante di lusso a New York ma, soprattutto, tutto quello che devono subire i camerieri, stretti tra l’incudine dei cuochi e delle loro provocazioni a sfondo sessuale e il martello dei clienti che, come recita la quarta di copertina (una volta tanto convincente), si aspettano che chi li serve sia “allergologo, sommelier, censore dell’abuso di cellulari, fotomodello, confessore, intrattenitore, barman, medico d’urgenza, buttafuori, centralinista, barzellettiere, terapeuta, poliglotta, valvola di sfogo, sensitivo, maestro di bon ton e chef dilettante”.


Ora, per ognuna di queste mansioni c’è almeno una storiella divertente da raccontare che qui non verrà raccontata per non rovinarvi la lettura. Ma nel capitolo La vendetta è un piatto che va servito freddo, il buon Steve ci racconta per filo e per segno cosa ti fanno i camerieri se sei un po’ troppo insolente con loro. Anzitutto sì, ti sputano nel piatto. Poi giuocano a hockey con il tuo hamburger, usando le scope come mazze e gli stracci come porte. Sputtanano i mariti traditori e, soprattutto, ricorrono all’arma finale: la flatulenza. E non sto scherzando. Passano tra un tavolo e l’altro esprimendo il loro dissenso gassoso e lasciando ognuno dei clienti col dubbio della paternità: chi è stato, tra i miei commensali?


Poi però Steve Dublanica, alla faccia nostra, ha scritto questo libro, è diventato ricco e famoso e ha lasciato per sempre la professione di cameriere. Potendosi finalmente permettere quelle pietanze che, impietosamente, ha servito per vent’anni.


Jacopo Cirillo




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