mercoledì 6 ottobre 2010

L’Italia ha ancora il suo posto al sole pt.2

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Economia per dilettanti / L’Italia ha ancora il suo posto al sole pt.2


L’invito è alla lettura de “La crisi mondiale e l’Italia”, editore il Mulino, di Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison  e responsabile dell’omonima divisione “Studi Economici”, dove vengono racchiusi tutta un serie di suoi articoli, comparsi su vari quotidiani dall’inizio della crisi, sancito dal fallimento di Lehman Brother, in cui sottolinea che il nostro paese è vivo e combatte a testa alta la crisi economica globale e che può ancora vantare di essere il secondo produttore manifatturiero d’Europa (dopo la locomotiva tedesca).


Il nostro paese annovera ancora al suo interno storie imprenditoriali al limite dell’incredibile, fatte di piccole e medie imprese, di imprenditori visionari, di tecnici sopraffini e di manager, formatisi nelle nostre università, invidiati e corteggiati dalle multinazionali straniere . Alle agenzie di rating che valutano al massimo “AAA” gli stati con le economie più solide (ed è tutto un dire perché l’Italia è valutata solo A+, cioè al pari della Cina e meno della Spagna), andrebbe risposto che il nostro vero rating sarebbe una quadrupla “A”, ovvero le iniziali di 4 settori che vedono l’Italia ai primi posti nella produzione mondiale: abbigliamento-moda, arredo-casa, automazione-meccanica, alimentare.


Per avere un’idea: il valore aggiunto del sistema moda in Italia è pari a 32 miliardi di euro, superiore a quello di tutta l’industria tedesca dell’automobile, che è la più grande d’Europa. Nel settore della lavorazione del legno siamo primi con 172mila occupati. Lombardia e Veneto hanno entrambe in questo settore più addetti della Svezia (dove ha sede Ikea). Siamo i primi produttori in UE di acqua gassata, vino, caviale, pasta, prodotti orafi, scarpe, abiti, camicie, cravatte, piastrelle (l’Emilia Romagna da sola ne produce più dell’Austria), cucine, marmi, cemento, vetro, pistole, rubinetteria, prodotti in metallo e tanto altro.


Facendo un paragone con il settore dell’intermediazione finanziaria della Gran Bretagna (ovvero le banche, oggi nel pieno della bufera) il più grande dell’UE  (vale una volta e mezzo quello tedesco, due volte quello francese e due volte e mezzo quello nostrano), il valore aggiunto dell’industria italiana, pari nel 2009 a 270 miliardi di euro è il doppio di quello delle banche inglesi messe assieme ed è un valore, oggi più che mai, molto più tangibile e concreto. Teniamolo bene a mente quando ascolteremo il prossimo guru dell’Economist, che di certo cercherà di convincerci che lo Stivale è malato, ma che al tempo stesso veste italiano e viene a passare le vacanze nel Bel Paese.


Carlo Bedeschi




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