venerdì 8 ottobre 2010

Rayuelando #109

cortazar Rayuelando #109


Rayuelando / Rayuelando #109 


Qui a Finzioni Magazine si fa della lettura creativa e questo è un fatto. È un fatto come è un fatto che la Rayuela di Julio Cortazar è un po’ il libro feticcio di cotanta baldanza sloganistica. Se youtubi forte, potrebbe capitarti, casomai, di cozzare un’intervista che il Corta ha concesso nel millenovecentoesessantasei a una televisione spagnola, tale TVE. Il nostro è quello con barba, denti neri, portacenere da terra a ore due e paglia incessante. È quello che parla il castigliano con la erre talmente moscia che, voglio dire, non ti abitui mai abbastanza a pensarlo argentino, nato a Bruxelles e cresciuto a Parigi, forse cresciuto a Parigi, forse a quello ti ci puoi abituare. 

 

Insomma che il Corta, dopo avere mandato in culo i critici e l’etichetta dell’anti-romanzo, ci scarta un cioccolatino paziente, ce lo porge, e ci introduce al concetto di nuove possibilità, di un tentativo differente di mettere in contatto un romanzo, uno scrittore e i suoi lettori, di un nuovo modo di leggere, per dire. È normale: c’è un tizio che scrive, un tizio che pubblica, dei tizi che comprano il libro e che leggono le pagine in numeresco ordine arabo e affermano: mi piace; oppure affermano: non mi piace. Stop. Lo facciamo tutti giornalmente barra settimanalmente barra mensilmente. 

 

Poi succede Rayuela, che ha almeno due ordini di lettura e centinaia di soluzioni a portata di lettura/lettore, che eleva il povero diavolo che acquista il libro alla stregua dello scrittore, che non si propone, che non si può proporre, due volte allo stesso modo. La mia Rayuela non sarà mai la tua Rayuela. Di più: la mia Rayuela di oggi è diversa dalla mia Rayuela di ieri e dalla mia Rayuela di domani. Una lettura attiva, un lettore complice, un libro infinito, il sogno di Jorge Luis Borges. 

A proposito. 

 

#109

 

Da qualche parte Morelli cercava di giustificare le sue incongruenze narrative sostenendo che la vita degli altri, quale ci appare nella cosiddetta realtà, non è cinematografo ma fotografia (…) Per questo non era per niente strano ch’egli parlasse dei propri personaggi nel modo più spasmodico che si potesse immaginare; dare coerenza alla serie di fotografie perché diventassero cinematografo (come sarebbe piaciuto enormemente al lettore che lui chiamava lettore-femmina), significava riempire con letteratura, presunzioni, ipotesi ed invenzioni gli iati tra una fotografia e l’altra. (…) Morelli pensava che l’esperienza vissuta di quelle fotografie, che lui cercava di rendere con tutta l’evidenza possibile, doveva mettere il lettore in condizioni di avventurarsi, quasi di partecipare al destino dei suoi personaggi. (…) I ponti fra l’una e l’altra istanza di quelle vite così incerte e pochissimo caratterizzate, dovevano essere presupposti o inventati dal lettore, dalla maniera di pettinarsi, se Morelli non la indicava, fino alle ragioni di un comportamento o del suo contrario, nel caso sembrasse insolito o eccentrico. (…) Qualche volta però le linee assenti erano le più importanti, le uniche che veramente importavano. (…)

 

Andrea Meregalli



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